La definizione “cibo spazzatura” deriva dall’inglese Junk-food ed è adoperata da tutti i maggiori esperti internazionali di dietetica e nutrizione per descrivere qualsiasi alimento o bevanda che apporti grandi quantità di energia in assenza di nutrienti di rilievo.
Negli ultimi decenni la tendenza del consumo di questi prodotti è in costante aumento. Alcuni lo motivano con l'assenza di tempo per la preparazione di cibi sani, altri con il fatto che questi prodotti siano più "buoni".
Ma che cos'è buono e che cosa non lo è? Come si fa a stabilirlo? In realtà il dato preoccupante è che adulti e bambini abituati al consumo di cibo spazzatura, hanno un'alterata capacità di percepire il sapore naturale delle pietanze a prescindere dai gusti personali. Degli esempi? Un bambino abituato a mangiare le gocciole e a bere aranciata industriale troverà le fette biscottate e la spremuta fresca d'arance orrende. Un adulto abituato a mangiare al fast-food un panino farcito con salse e patatine fritte troverà insignificante un panino con prosciutto e insalata. In più i cibi spazzatura, per il contenuto di alcune sostanze, creano una vera e propria dipendenza che costringe ad aumentare sempre più la quantità e la frequenza di consumo.
Vediamo ora quali sono i cibi spazzatura più comunemente utilizzati:
Bevande zuccherate gassate: apportano tantissima energia sotto forma di zucchero. Una classica lattina da 330 ml apporta circa 150 kcal e contiene 40-50g di zuccheri solubili, pari quasi alla dose giornaliera raccomandata per una donna normopeso (in pratica è come se di colpo si ingoiassero circa 4 cucchiai di zucchero!). Hanno un basso potere saziante, povere di fibra e vitamine, stimolano in maniera abnorme la produzione di insulina. Favoriscono l'obesità, neoplasie del colon-retto, dell'utero e della mammella, il diabete e le malattie cardiovascolari. Possono contenere conservanti che oltre a favorire le patologie appena elencate vanno ad alterare la naturale flora batterica intestinale favorendo gonfiore addominale, meteorismo, alternanza di diarrea e stipsi. Fino a pochi anni fa il contenuto di coloranti cancerogeni era ambiguo, mentre adesso la situazione è alquanto migliorata, anche se alcuni sono ancora sulla lista sospetta di molti ricercatori.
Merendine, snack salati, snack al cioccolato, biscotti, torte industriali: sono autentiche "bombe caloriche" rifilateci dall'industria alimentare moderna. In media questi prodotti apportano più di 500Kcal per 100 g di prodotto ed hanno un contenuto medio di grassi del 30 % (in pratica, in termini calorici, è come se si consumasse in un solo colpo un intero pasto composto da un piatto di pasta, un piatto di verdure, una porzione di pane, una porzione di frutta fresca e una porzione di olio extravergine d'oliva).
Il termine merendina (idem per torte industriali, snack al cioccolato e biscotti), in genere, ci fa pensare a qualcosa di dolce, che associamo allo zucchero. In realtà non è proprio così. L'elemento notevolmente peggiore di questi prodotti non è lo zucchero, ma la qualità dei grassi presenti, non solo saturi, ma spesso anche idrogenati (cioè grassi vegetali trasformati dalle industrie alimentari) e quindi ancora più dannosi per la salute poiché associati ad elevato rischio di malattie cardiovascolari, neoplasie, alterazione del metabolismo dei grassi (soprattutto del colesterolo), diabete e ipertensione arteriosa. Paradossalmente, si è talvolta disposti a ridurre l’olio extravergine d’oliva che contiene grassi buoni anzi "miracolosi" per la salute, mentre si consumano grandi quantità di grassi saturi e idrogenati nascosti in questi prodotti. Dunque, impariamo a leggere le etichette: tutti i prodotti con un contenuto pari o superiore al 15-20% di grassi e con la scritta “grassi vegetali idrogenati” o "grassi vegetali parzialmente idrogenati" o nomi chimici strani (leggi in seguito fast-food) vanno lasciati lì, dove si trovano!
Impariamo invece a prepararli in casa i dolci utilizzando farina integrale, frutta, miele, mandorle, yogurt, uova, olio extravergine d'oliva e lievito oppure rivolgiamoci direttamente al nostro artigiano pasticciere di fiducia.
Fast-food: sarebbe più opportuno chiamarlo “fat-food”. Panini ipercalorici, poveri di fibra, dal bassissimo potere saziante e ricchi di zucchero (ebbene si, proprio zucchero aggiunto all’impasto del pane per aumentare la sensazione di piacevolezza dei consumatori), con carne bovina ricca di grassi qualitativamente scarsi, con l'aggiunta di un'unica foglia verde d’insalata per mettere a tacere salutisti e coscienza, patatine fritte in oli misteriosi e salse che da sole potrebbero apportare le chilocalorie di un intero pasto, il tutto mandato giù da mezzo litro di una bevanda zuccherata di turno. Il dato negativo è che ormai anche i nostri bar scoppiano di tramezzini farciti che nulla hanno da invidiare ai panini appena elencati. Sembra quasi che in qualsiasi direzione puntino i nostri occhi ci sia la visione di tali prodotti.
Adesso è d'obbligo lanciarvi una provocazione: quanti di voi hanno mai riflettuto sul fatto che gli hamburger e le patatine dei fast-food resistono alla decomposizione? La risposta più immediata potrebbe essere che sono fatti con agenti chimici che neanche la muffa attaccherebbe.
In parte è vero, ma non è tutto. La ragione essenziale per cui questi cibi non si decompongono è il loro elevato contenuto di sodio.
La carne dei fast-food è così piena di sodio che può essere considerata carne trattata a tutti gli effetti, senza parlare dei conservanti e coloranti alimentari contenuti.
Oltre a carne e patatine, però, ci sarebbe un'altra domanda da porsi. Ma com'è possibile che accada lo stesso con i panini? Come fa il pane a non ammuffire dopo qualche giorno? Riportiamo gli ingredienti (se così possiamo definirli) mediamente presenti in un panino fast-food di una nota casa produttrice:
Farina arricchita (farina di grano sbiancata, farina di frumento maltata, niacina, ferro ridotto, tiamina mononitrato, riboflavina, acido folico, enzimi), acqua, sciroppo di alto fruttosio (HFCS), zucchero, lievito, olio di soia e/o olio di soia parzialmente idrogenato, contiene il 2% o meno di: sale, solfato di calcio, carbonato di calcio, glutine di grano, solfato di ammonio, cloruro di ammonio, agenti ammorbidenti per la pasta (lattato steaorile di sodio, estere diacetiltartarico di mono- e digliceridi degli acidi grassi, acido ascorbico, azodicarbonamide, mono- e digliceridi, monocalcio fosfato, enzimi, gomma di guar, perossido di calcio, farina di soia), propionato di calcio e propionato di sodio (conservanti), lecitina di soia.
E pensare che il pane dovrebbe contenere gli ingredienti più "semplici" del mondo: farina, acqua, sale e lievito!
In seguito al dilagare dell'obesità e degli effetti negativi sulla salute e sulle spese sanitarie, molti Paesi tra cui l'Italia sono intervenuti sull'ipotesi di inserire una tassa sul cibo spazzatura.
Crediamo fermamente che la tassa in questione non possa far altro che arricchire le casse dello Stato senza risolvere né a breve né a lungo termine il problema dell'obesità e delle patologie associate. Di certo l'obeso, che spesso ha una vera e propria dipendenza nei confronti del cibo (simile a quella da alcool per gli alcolisti, da droga per i tossicodipendenti e da gioco per i giocatori), non si fermerà davanti all'aumento di pochi centesimi di euro del cibo desiderato.
Se l'obiettivo fosse davvero quello di ridurre l'incidenza di obesità e non di fare cassa, invece di tassare questo cibo si prenderebbe seriamente in considerazione l'inserimento in tutte le scuole pubbliche di esperti in Dietetica, in Nutrizione e in Scienze Motorie che possano contribuire, in maniera permanente, all'insegnamento di una sana e corretta alimentazione e di uno stile di vita attivo per tutti i bambini e i genitori. Le lezioni di educazione alimentare potrebbero essere associate a momenti in cui, con l'aiuto di cuochi esperti, si impara a cucinare e a fare la spesa, coinvolgendo giocosamente anche i bambini, secondo i principi della Dieta Mediterranea. In questo modo si investirebbe in termini di denaro (si, per una volta si investirebbe e non si tasserebbe!) ma si guadagnerebbe in termini di salute.
Cari lettori, prima di salutarvi e di darvi appuntamento a lunedì prossimo con un nuovo articolo, concludiamo con una riflessione: c'è una parte del mondo che desidererebbe avere a disposizione cibo sano e "naturale" per nutrirsi correttamente ma muore letteralmente di fame ed un'altra parte del mondo che pur avendo a disposizione cibo sano e "naturale" necessario al mantenimento di un buono stato di salute, lo sostituisce con cibi industriali e raffinati, ammalandosi fino a morire!
Forse basterebbe soltanto spalancare di più gli occhi e contemporaneamente meno la bocca.
Dott.ssa Viviana Valtucci e dott. Mario Russo
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(04/03/12)
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